Giornali open source made in Italy?

E a proposito del social network creato dal NYTimes.com (vedi link del post), qual'è la posizione di giornali e giornalisti on line italiani al cospetto delle applicazioni Web 2.0 e delle sue logiche di democratizzazione? Quanti paper digitali nostrani consentono agli utenti di intervenire attivamente e interattivamente, ad esempio attraverso la possibilità di attivare spazi blog, come accade con l'edizione elettronica del giornale newyorkese?
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Mentre dall’altra parte dell’Atlantico acquisizioni e alleanze strategico-commerciali tra aziende editoriali, social media e blog network sono all'ordine del giorno, i giornali digitali nostrani tentano di concretizzare soltanto timidamente quel concetto di open source journal che avvicina chi lavora al giornale, chi lo legge e lo commenta. In particolare, nella Rete made in Italy, tra prudenza, scetticismo e resistenze culturali, tra le poche iniziative c'è quella del network Repubblica-Kataweb che qualche anno fa ha concluso un’intesa con l’azienda americana “Six Apart Europe” per offrire weblog gratuiti ai propri lettori-utenti. Si è ben presto adeguata all’inversione di tendenza anche LaStampa.it, che ha stretto un accordo con la stessa Six Apart per proporre ai suoi lettori la possibilità di realizzare un blog sulla piattaforma TypePad. Si segnala inoltre la recente e interessante iniziativa de “La Gazzetta dello sport” che consente ai suoi utenti di registrarsi al sito della sua edizione telematica e diventare membro di un’autentica community - GazzaSpace, l’unica in Italia in un contesto editoriale a livello nazionale - per segnalare, scambiarsi e condividere contenuti testo-audio-video, oltre alla possibilità di aprire uno spazio personale quanto mai multimediale a metà strada tra un blog e una sorta di pagina in stile MySpace.
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Ecco dunque i passi del giornalismo mainstream nostrano verso un rinnovato modello informativo professionale ibridato alle logiche del Web 2.0. Tuttavia, nell’ottica di un confronto con il panorama americano, in Italia la situazione si presta a considerazioni sempre meno ottimiste ed entusiastiche, dal momento che a parte le iniziative de “la Repubblica”, “La Stampa” e qualcun altro lo User Generated Content delle testate editoriali on line sembra essere scarsamente implementato. Se i giornali digitali assumono le sembianze di autentici portali sempre più aperti al ventaglio di potenzialità offerto dalla multimedialità, dall’ipertestualità e talvolta dalle logiche di personalizzazione dell’informazione in Rete, tuttavia dal punto di vista dell’interattività e delle applicazioni 2.0 le autostrade telematiche italiane offrono ben poco. In ogni caso gli stessi servizi attivati da Repubblica.it e LaStampa.it, ad esempio, non rappresentano autentiche aperture al fenomeno del citizen journalism, né tantomeno tentativi di definire un contesto realmente interattivo e collaborativo tra giornalisti, giornale e lettori, in cui le redazioni si aprono ai commenti e ai contributi forniti dagli utenti.
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A testimonianza di una situazione endemica dal punto di vista di giornali concretamente open source, va segnalata la diffidenza e la conseguente chiusura nei confronti della blogosfera e del citizen journalism del giornale che vanta la massima tiratura di copie in Italia; si tratta del “Corriere della Sera” che soltanto nel 2007 ha avviato sull’edizione digitale il primo blog redazionale e che attualmente tra i grandi quotidiani è l’unico a non proporre ai suoi lettori telematici un servizio di blogging interno al portale, né tantomeno aree dedicate ai surfer per l’invio o la segnalazione di spunti, commenti o materiale multimediale.
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Si tratta di posizioni chiare ed emblematiche che esprimono in maniera palese e incondizionata la diffidenza ancora radicata nei confronti dell’open source di alcuni protagonisti del giornalismo made in Italy - se non addirittura una sorta di percezione di inutilità della partecipazione dei lettori al processo editoriale - che molto probabilmente sconta sia una considerazione del Web ancora ingenua e basata sulla similarità dei meccanismi comunicativi e informativi della Rete con quelli dei mainstream media, sia l’incapacità di tracciare l’utenza on line come autentico network attivo e interattivo grazie al Web 2.0 e non più come semplice audience. Tutto questo mentre nella Rete americana il New York Times Digital ha avviato il suo social network.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

a proposito del Corriere della Sera che non da la possibilità agli utenti di aprire un blog interno al sito, se non sbaglio un po' di tempo fa Marco Pratellesi ha spiegato le ragioni di questa scelta, a mio avviso retrò e sbagliata

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonimo ha detto...

Perche non:)