Intervista ad Antonio Sofi

Ecco un estratto dell'intervista realizzata ad Antonio Sofi - consulente politico, esperto di giornalismo e di new media, oltre che autore del famosissimo Webgol - con riferimento al giornalismo on line e al fenomeno del citizen journalism...un contributo prezioso per la realizzazione del progetto di tesi "Web Remediation", per il quale ringrazio il Dott. Sofi.
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Come è iniziata la sua esperienza di blogger? Con quali aspettative e motivazioni?
Ho sperimentato per la prima volta il modello blog nel 2003, in occasione del Master in Giornalismo on line dell’Università di Firenze, coordinato insieme ad Enrico Bianda e presieduto da Carlo Sorrentino. Webgol è nato quindi in ambito didattico, con l’obiettivo di studiare insieme ai ragazzi del Master i possibili utilizzi informativi della Rete. Successivamente, terminato il corso, ho comunque continuato a gestirlo con attenzione, passione e un pizzico di divertimento, proponendo una forma di approfondimento tematico.
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Che ne pensa dei blog gestiti da giornalisti nel contesto editoriale? Qualcuno asserisce che si tratti di spazi poco originali e autorefenziali nel sistema dei link.
Innanzitutto preciso che non mi piace parlare al generale e riferirmi, in questo caso, a tutti i blog dei giornalisti. Certo ci sono alcune redazioni e gruppi editoriali che, per cavalcare il nuovo strumento e adeguarsi ai tempi, lo hanno affidato a giornalisti che in realtà non ne conoscevano completamente le modalità di utilizzo, né i linguaggi o i tempi di pubblicazione, o che addirittura non sapevano approcciarsi alla Rete. E così sono nati alcuni blog sottoforma di giornali on line, che si limitavano a riprendere e proporre i contenuti pubblicati dalla stampa il giorno prima. In questi casi forse si può parlare, ecco, di autorefenzialità. Ma non credo sia un fenomeno così tanto diffuso e generale; inoltre, si è trattato di una prima fase di utilizzo dei blog da parte dei giornalisti. Oggi ci sono alcuni esempi molto interessanti di blog ben curati e gestiti dal punto di vista dell’informazione. Mi viene in mente, ad esempio,
ZetaVu di Vittorio Zambardino o i blog di alcuni giornalisti del Corriere della Sera.
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Spesso si etichetta il fenomeno blog come forma di giornalismo più democratico e partecipativo (non a caso si parla di citizen journalism). Cosa ne pensa dell’accostamento tra blogging amatoriale e giornalismo? La blogosfera è una nuova forma di giornalismo?
Se partiamo da un concetto di giornalismo esteso e allargato, così come da un certo punto di vista lo intendo io, allora si. Nelle sue manifestazioni migliori il blog può configurarsi come strumento di informazione più aperto, democratico e interattivo. I blog non rappresentano solo un’evoluzione tecnologica, ma spesso vogliono essere anche una risposta a bisogni informativi degli utenti, che probabilmente i media tradizionali non riescono a coprire, o perlomeno non adeguatamente. Non a caso molti dei primi blog erano curati da persone che si ponevano in contrapposizione ad alcune logiche del giornalismo tradizionale. Tra l’altro alcuni giornalisti, soprattutto americani, sostengono che la contrapposizione tra blog e giornalismo è addirittura da considerarsi sorpassata; in parte potrebbe essere così, dal momento che in alcune particolari circostanze i blogger sono stati capaci di competere con i media tradizionali, parlo della televisione e della radio e non solo della stampa. Basta pensare alla copertura informativa operata dai blogger in occasione dello Tsunami.
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A tal proposito, in un suo saggio parla di ipotesi di allargamento del campo giornalistico al cospetto dei blog. Cosa cambia per il classic journalist dinanzi alla blogosfera?
Si nel testo di Carlo Sorrentino ho parlato esattamente di un concetto di giornalismo allargato, per tornare alla risposta precedente. L’estensione del campo potrebbe derivare da tre fenomeni e tre modalità di gestione informativa del blog che hanno molto a che fare con il giornalismo e che si sono imposti all’attenzione dei media (della carta, della radio, piuttosto che della TV).
Il primo “formato giornalistico” dei blog potrebbe essere una forma di racconto o di testimonianza, che appunto, come dicevo prima, si manifesta purtroppo in situazioni di emergenza, come è accaduto per l’11 settembre, per la metro di Londra, per lo stesso Tsunami. In questi casi i blog hanno bruciato sul tempo stampa e televisione, proponendo immagini e filmati straorinari che i giornalisti hanno avuto in mano e hanno potuto pubblicare soltanto grazie alla blogosfera. Visitatori e passanti hanno ripreso eventi tragici grazie ai più disparati supporti, dalle videocamere digitali ai cellulari, e hanno riversato tutto in Rete. Con il primo formato il blog si propone come strumento di reporting e di testimonianza giornalistica; i testimoni oculari di un evento hanno la possibilità, scrivendo su un blog, di entrare a far parte del processo giornalistico.
Il secondo formato è invece un recupero di tutta quella informazione che i media tradizionali, per poco spazio e tempo, non trattano o lo fanno comunque nei limiti. In questi casi i blog possono dare visibilità a contenuti o aspetti del raccontabile poco considerati o a scarti di produzione, informazioni residuali insomma (non a caso ho parlato di giornalismo residuale), quasi intrappolate nei palinsesti giornalistici. Per esempio i media non riescono a coprire adeguatamente contesti informativi di nicchia, che interessano pubblici ristretti. Addirittura spesso sono proprio i giornalisti a recuperare sui blog quelle informazioni rese marginali dai criteri di notiziabilità utilizzati di solito dalle redazioni in cui lavorano. In altri casi sono gli utenti a discutere semplicemente di contenuti minimi e curiosi, proposti attraverso l’informalità tipica dei blog. Il terzo formato infine è un approfondimento di tematiche e notizie che i blog (ma direi la Rete in generale) propongono attraverso link, commenti, trackback, dunque in un contesto collaborativo che si basa sulla capacità conversazionale di questi spazi. Si tratta sia di approfondimento orizzontale - prodotto attraverso commenti e riflessioni tra i blogger - sia di un approfondimento verticale - attraverso il continuo collegamento tra diversi commenti e diverse notizie che trattano uno stesso determinato tema.
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Dalla ricerca della Columbia University, The State of The News Media 2008, è venuto fuori che il 15% degli user americani si informano soltanto attraverso blog (addirittura la percentuale salirebbe al 78% per i giovani tra i 18 e i 24 anni) e che i blog stanno accrescendo la propria credibilità. In questo processo di accreditamento, c’entra il deficit di fiducia del giornalismo tradizionale?
Ormai è da tanto tempo che se ne parla, addirittura sono stati pubblicati molti studi e ricerche sulla questione. Quindi direi proprio di si, la crisi del giornalismo, la perdita di fiducia e credibilità della stampa facilita il processo di accreditamento dei blog, dell’informazione in Rete in generale. Oggi gli utenti scoprono un giornalismo sempre meno indipendente o autonomo, forse più influenzato del passato da finalità economiche. I lettori leggono i giornali sapendo o quantomeno immaginando che ci sia alla base del lavoro del giornalista un gruppo editoriale con degli interessi economici, un approccio più partigiano, quasi politico, magari legato a logiche commerciali. Insomma si percepisce un giornalismo meno neutrale e obiettivo di un tempo; un giornalismo che di conseguenza riscuote meno successo e meno fiducia, talvolta anche meno credibilità. E qui si inserisce l’accreditamento della blogosfera, che si presenta con punti di vista comunque partigiani, non per forza credibili, anzi, ma che almeno presenta una spontaneità e una informalità che non lasciano presupporre l’esistenza di un doppio legame politico e commerciale. Quindi si, credo che i problemi del giornalismo e le relative percezioni dei fruitori c’entrino in questo processo.
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Sulzerberger del NYC ha anticipato che entro il 2010 il suo giornale sarà solo in Rete; recentemente il “Capital Times” ha abbandonato la carta per l’on line. Pensa che tra qualche anno il giornalismo tradizionale possa essere sostituito da quello on the Web?
No credo proprio di no. Forse un tempo qualche perplessità c’era, ma ora credo che non si possa più parlare in termini di sostituzione. Certo le redazioni giornalistiche non possono più fare solo il giornale in edicola; oggi c’è Internet, ci sono la radio e la televisione, ci sono le notizie che pian piano arrivano sui cellulari, ovviamente ci sono i blog che a loro modo portano contenuti e punti di vista integrabili al giornalismo. Il giornalismo della carta stampata deve andare nella direzione della convergenza, ma non credo sarà sostituito dal giornale on line. Innanzitutto perché si tratta di due supporti informativi dal formato, dal linguaggio, dalle logiche spaziotemporali e persino dai contenuti per certi versi differenti, così come differenti sono target e contesti di fruizione. Credo proprio che ci saranno tutti e due, la strada è quella che porta alla sinergia. Se poi gli editori dovesse trovare un modello di business che consentisse di guadagnarci, allora ci si potrebbe anche riflettere un po’ su; ma con il modello attuale nessuno ci guadagna e nessuno pensa alla sostituzione. Comunque se il modello di business avesse permesso di guadagnarci, credo che già tutti sarebbero da tempo soltanto on line.

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